Aldo Meccariello
Di Enrique Dussel, filosofo argentino che vive da molti anni in Messico, padre della filosofia della liberazione e raffinato commentatore dell'opera di Marx, è uscito di recente in Italia un libro - Venti tesi di politica , (traduzione e introduzione di Antonino Infranca, Asterios Trieste 2009, pp. 187, euro 19) - che raccoglie scritti appartenenti alla cosiddetta "seconda produzione teorica" dell'Autore iniziata con Etica de la Liberación e proseguita con la ciclopica Politica della Liberación . Solo da pochi anni il mercato editoriale italiano ha cominciato a scoprire questo prolifico e robusto pensatore latino americano, al punto che oggi circolano nel nostro paese almeno sette volumi ( Etica comunitaria , Storia della chiesa in America latina , Filosofia della liberazione , La chiesa in America latina , L'occultamento dell'altro , Un Marx sconosciuto , Filosofia della liberazione ed etica della comunicazione ) che un po' costituiscono la summa della sua proposta teorica e politica di liberazione. Le Venti tesi di Politica sono un parziale estratto della Politica della Liberación e contengono provocatoriamente una teoria e una prassi di liberazione per le generazioni del XXI secolo. Nella forma trascinante ed esplosiva delle tesi che evocano un'illustre tradizione del pensiero critico da Feuerbach a Marx, da Lenin a Benjamin, il filosofo argentino tenta di delineare una rifondazione della politica intesa come praxis, come attività nella quale i rapporti fra gli uomini siano fondati sulla giustizia effettiva e l'uguaglianza reale che però deve passare attraverso una ridefinizione anche dei suoi termini, dei suoi campi, e delle sue sfere. A tal fine egli indica nei movimenti di liberazione che oggi stanno scotendo l'America latina (il movimento del lavoratori Sem Terra, i Forum sociali, Chavez e Lorales, i governi di centro-sinistra in Cile, Argentina e Brasile) un laboratorio sperimentale e creativo, uno spazio politico di grandi potenzialità anche per il Primo mondo e soprattutto per la sinistra europea.
Il nucleo originale delle tesi è costituito da quello che Dussel chiama il potere obbedienziale (tesi 4), che è una novità assoluta e destrutturate nel lessico politico tradizionale poiché la concezione del potere è declinata come ob-bedienza nel senso che «ascoltare colui che si ha davanti», cioè obbedienza è il compito prioritario che deve esercitare colui che rappresenta il popolo, colui che compie la funzione di un'istituzione politica. Per Dussel, essere chiamati dalla comunità, dal popolo è la vera vocazione di colui che si sente convocato ad assumere la responsabilità del potere.
Chi comanda è eletto per esercitare in forma delegata il potere della comunità. O in altri termini, l'uomo politico comanda solo alla condizione che stia obbedendo.
Il rischio è che questo potere per delega si autonomizzi e che il rappresentante dimentichi il rappresentato, dimentichi cioè che il potere è obbedienza e abdichi a quella funzione etica di servizio dell'uomo politico verso quelli che sono la fonte del suo potere. Nel discutere questa concezione dusseliana del potere si è tentati di fare qualche riferimento all'Italia dì oggi sempre più gravemente infetta dalla pulsione totalitaria di un uomo che ha fatto della corruzione e del comando i perni essenziali della sua azione politica. Dussel descrive con straordinaria efficacia il fenomeno della feticizzazione del potere (tesi 6) che consiste in una "Volontà-di-potere" come dominio e controllo illimitato sul popolo, sugli altri, sui deboli, che «comincia con l'avvilimento soggettivo del singolo rappresentante, che ha il gusto, il piacere, il desiderio, la pulsione sadica dell'esercizio onnipotente del potere feticizzato sui cittadini disciplinati e obbedienti» (p.67). Esito di questo processo sono la corruzione e l'infiltrazione di poteri criminali nell'azione politica.
L'analisi dusseliana che fa sempre leva sulla situazione di sudditanza dei popoli del terzo mondo dal primo mondo ha l'indubbio merito di focalizzare limiti e fragilità delle democrazie liberali e rappresentative a partire dall'inadeguatezza della nozione stessa di democrazia che, per lo meno, va rigenerata o risignificata come lasciano intendere anche i recenti e stimolanti contributi di Jean Luc Nancy, La verità della democrazia e di Jacques Rancière, L'odio per la democrazia , entrambi editi da Cronopio.
A fronte della continua sussunzione degli strumenti di governo da parte di agenzie globali, formali e informali, la crisi della democrazia rappresentativa è un fatto irreversibile. Il popolo - scrive Dussel - invece di essere servito dal rappresentante, diventa il suo servitore. Appaiono le elite o la classe politica come autoreferenti senza rispondere più alla comunità politica (p.79).
La democrazia per Dussel, così come oggi è, cioè meccanismo di procedure, istituzionalizzazione delle mediazioni, governabilità, non può più funzionare o almeno non appare più come un sistema credibile di garanzia e dotata di anticorpi per far migliorare la vita umana della comunità e del popolo. Risulta fondamentale la distinzione dusseliana in campo politico tra la potentia cioè il potere del popolo, il potere in sé (tesi 2) e la potestas che è il potere fuori di sé, il potere organizzato, istituzionalizzato (tesi 3) per meglio afferrare termini come campo politico o azione politica strategica. Quando la potentia si oggettiva o si aliena nel sistema delle istituzioni politiche, viene a mancare, a svuotarsi il potere dal basso, cioè il potere liberatore del popolo (tesi 12).
«Popolo» e «popolare» (tesi 11) nel linguaggio dusseliano non hanno nulla a che vedere con le concezioni estetizzanti e romantiche che hanno plasmato il lessico culturale e politico europeo degli ultimi secoli. L'Autore si preoccupa di sottolineare che il popolo è una categoria strettamente politica che ingloba l'unità di movimenti sociali, di classe, di pratiche antagonistiche in lotta; quindi, un attore politico collettivo capace di rappresentare una vera alternativa per il futuro. Ritorna in questi passaggi un tema molto caro a Dussel sin dai tempi della sua lettura del Capitale di Marx che è quello dell'etica come l'a priori per una critica dell'economia politica poiché la lotta per l'emancipazione è sempre una lotta per il riconoscimento della vita umana degli oppressi e degli sfruttati, della loro volontà-di-vivere. La nobile funzione della politica presuppone l'etica o per meglio dire un riaggiornamento degli imperativi categorici kantiani che Dussel rinomina come "postulati politici" capaci di orientare la prassi e sostenere l'azione politica in ogni sfera di sua competenza. Nel tracciare una tipologia dei postulati (ad esempio, il postulato politico nella sfera ecologica è garantire perpetuamente l'esistenza della vita sul nostro pianeta mentre quello nella sfera economica è preservare il tempo della vita umana attraverso la "riduzione della giornata lavorativa" e così via), Dussel assume la dignità della natura umana come criterio assoluto di ogni normatività. E se è vero che ogni prassi trasformativa deve partire da un'opzione etica prima ancora che politica (tesi 16), è altrettanto vero che è assai difficile estrarre dal pensiero di Dussel, che continua rimanere impigliato nelle maglie di un messianesimo popolato di molti Messia latino-americani, indicazioni strategiche ed operative per la sinistra europea (in specie quella italiana) oggi più che mai in affanno nella costruzione di un ordine futuro.
Ma questo è il tema di una nuova riflessione.
"Liberazione", 27/12/2009
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