Ehi, perché si dice in giro che ci sarà un autunno caldo? Leggi un po' ...
Mai più una scuola di massa e di qualità come perno della democrazia. Fondazioni invece di istituti. Così vuole Gelmini. Un programmino di classe niente male, che attacca al cuore l'idea di fondo che ha finora retto il nostro sistema scolastico: una scuola di massa, e di qualità, per tutti, come perno della nostra democrazia
Il Pd d'accordo sulla privatizzazione. Oggi il governo vara il 7 in condotta A morte la scuola pubblica!
Più classe, disciplina e risparmi
Rina Gagliardi
Notizie dal meeting ciellino di Rimini: stavolta la Maria Stella Gelmini fa sul serio e annuncia, oltre al ritorno del voto di condotta (sarà approvato dal Cdm di oggi con apposito decreto legge), un progetto organico di rifacimento del sistema scolastico. Fondazioni private, drastica riduzione dei prof e dei lavoratori (in tre anni meno 120mila) e loro prossima "liberalizzazione", e poi i noti valori del merito, gerarchia, disciplina, ne sono i perni - idee non nuove, ma stavolta prospettate con grande determinazione e supportate da una intensa campagna mediatica (vedi il Corriere della sera , a partire dall'articolo con cui Galli della Loggia ha decretato l'inutilità assoluta della scuola attuale). Del resto, si era mai visto un ministro della Pubblica Istruzione che, quasi ad ogni giorno che passa, getta quintalate di fango sulle istituzioni - delicatissime anzi centrali - che è chiamata a dirigere? Che, pur essendo in tutta evidenza del tutto ignara dei problemi della formazione e del sapere, spara sciocchezze di continuo, e a volte si tratta di sciocchezze razziste, come quelle sugli insegnanti meridionali? Il fatto è che la Maria Stella vuole passare alla storia (si fa per dire) come colei che ha definitivamente distrutto la scuola pubblica italiana. Quod non fecit Laetitia fecerunt Gelminini. Ognuno, è noto, ha le ambizioni che si merita. E quella della rampante avvocata bresciana, cresciuta in scuole cattoliche e poi fulminata in giovanissima età dal Cavaliere (oggi per la verità da un noto immobiliarista), è, appunto, la demolizione della scuola repubblicana e la sua sostituzione con un sistema modellato su quello americano. Da una parte, pochi e selezionatissimi istituti di "eccellenza", tanto nella scuola superiore che nell'Università, privatizzati o comunque gestiti proprio come aziende private (ma con lo Stato che s'incaricherà di ovviare alle eventuali perdite); dall'altra parte, la scuola "per tutti" (si fa per dire), sempre più dequalificata e privata di risorse, destinata a parcheggiare giovani, o a sfornare manodopera a basso costo. Un perfetto sistema duale, con una serie A e poi una serie B, C, D - fino ai gironi infernali delle più desolate scuole di periferia, collocate (com'è logico che sia, direbbe Alemanno) "in luoghi dimenticati da Dio e dagli uomini".
Un programmino di classe niente male, che attacca al cuore l'idea di fondo che ha finora retto il nostro sistema scolastico: una scuola di massa, e di qualità, per tutti, come perno della nostra democrazia. Oggi, certo, per una tale controriforma (o peggio controrivoluzione), il clima appare assai più propizio. Lo diceva a suo modo Tullio De Mauro proprio sul Corriere di ieri: non si intravede una vera alternativa, da sinistra, a questa ebbrezza americanizzante. In effetti, proprio lì a Rimini, la shadow ministra del Pd, Maria Pia Garavaglia, non ha obiettato quasi nulla allo show gelminiano. Ed è parsa consentire, in particolare, alla proposta-clou della ministra: la trasformazione delle scuole pubbliche (sull'onda di quanto già è stato deciso nel Dpf per l'Università) in "Fondazioni di diritto privato", grazie alla quale gli istituti che lo vorranno potranno usufruire dei finanziamenti privati che vogliono, dotarsi, al posto del Consiglio di Istituto, di un vero e proprio Cda, gestirsi come aziende, con tanto di sponsor, preside-manager e privatizzazione dei rapporti di lavoro.
In effetti, ci aveva già provato, durante il governo Prodi, il ministro Fioroni, che però era stato costretto a "più miti consigli" (a limitare cioè il ruolo delle Fondazioni al regime fiscale) dalla resistenza dei futuri partiti extraparlamentari. Che dire? Meno funzionano, e più diventano di moda, a destra e a sinistra, queste benedette Fondazioni. Tutti hanno sotto gli occhi il disastro di quelle lirico-sinfoniche, realizzate in pompa magna proprio dal centrosinistra, ma nessuno se ne dà per inteso - non hanno un pensiero di ricambio al posto della pur agonizzante ideologia neoliberale. E la Gelmini ha avuto anche il coraggio di dire che, le Fondazioni realizzate nelle scuole paritarie sono un esempio da imitare, «giacché riducono il costo-alunno sotto il livello di quello delle scuole statali». Ed ecco, finalmente, l'assillo autentico del ministro: risparmiare, ridurre, tagliare.
Ma si può pensare ad una buona scuola, per di più restaurata, come vuole la destra, nella sua più arcaica ideologia di luogo deputato alla trasmissione delle gerarchie e dell'autorità, a forza di massacri e di demolizioni? Certo che si può: basta rinunciare all'ambizione - tipica non del socialismo, ma delle democrazie avanzate - del diritto allo studio per tutti. Basta guardare agli Stati Uniti, dove le uniche scuole decenti, superiori e universitarie, sono private, cioè si pagano a carissimo prezzo - e dove le scuole pubbliche ci sono sì, ma sono destinate alle classi dominate, lavoratori poveri, immigrati, chicanos , neri. Basti pensare ad alcune teorie sociologiche in voga da quelle parti, che teorizzano la convenienza "ottimale" di un sistema scolastico non solo censitario, ma castale, funzionale cioè alla autoriproduzione delle classi dirigenti (la diffusione eccessiva di alte qualifiche, nelle classi subalterne, creerebbe, secondo questo pensiero regressivo, disordine sociale e relazionale, e renderebbe intellettualmente troppo povero e pochissimo creativo il lavoro esecutivo, o subalterno). Insomma, com'è ovvio, la privatizzazione della scuola non concerne soltanto la scuola: è in perfetta coerenza con un'idea di società chiusa e con quella tentazione a-democratica che i vari capitalismi perseguono dai tempi della Trilateral (la troppa democrazia e il surplus di aspettative e di domande). Un'idea che fa a pugni con un'intera tradizione liberal e liberale, e con la stessa nozione di "società aperta". Oddio, direbbe la Gelmini, i "capaci e meritevoli", anche se poveri, troveranno sempre il modo di affermarsi, avranno le dovute borse di studio e potranno magari arrivare al Nobel, se se lo sono "meritato". Appunto, qualche eccezione alla regola è sempre consentita, insieme alla carità e alla filantropia, opportunamente detassate, secondo i dettami del "capitalismo compassionevole" - purché s'intende, il povero o il negro siano eccezionalmente dotati e quasi altrettanto eccezionalmente fortunati. Ma l'idea essenziale, appunto, è quell'altra.
Quanto consenso sono destinate ad avere le idee della Maria Stella? Nel mondo della scuola, che è già in notevole ebollizione, quasi nessuno. E tuttavia bisogna sapere che, questa volta, la battaglia sarà molto più difficile. Perché una parte consistente della sinistra moderata (del Pd) o condivide, nella sostanza, questi progetti o è scettica o è comunque incerta. Perché anni di furiose e possenti campagne hanno costruito un'immagine distorta - e di comodo - della scuola reale, e diffuso un pericoloso senso comune regressivo su tutto ciò che è pubblico (i "fannulloni"). Perché si tenterà di dipingere i movimenti di protesta - che noi speriamo di vedere nascere e crescere in autunno - come "corporativi" o "conservatori". Perché è troppo tempo che, a sinistra (sinistra-sinistra), le questioni della scuola e della formazione sono sottovalutate nel loro valore essenziale e generale. Noi, naturalmente, contiamo di essere smentite, al più presto…
“Liberazione”, 28/08/2008