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Piero Sansonetti Fausto Bertinotti, per una volta, dà ragione agli americani. Dice che il giudizio sulla campagna elettorale espresso dall'ambasciatore degli Usa a Roma, Ronald Spogli, è un parere «pro veritate». E naturalmente - come tutti i pareri pro veritate - è anche un parere interessato, diciamo un «augurio», un «consiglio»; ma questo non modifica la solidità del parere. Cosa ha detto Ronald Spogli? Semplicemente che i programmi elettorali del partito di Berlusconi e del partito di Veltroni sono «sovrapponibili». Cioè, per capirci, coincidono, sono uguali. E di conseguenza, dice Spogli - ma la stessa idea l'ha espressa Luca di Montezemolo - non è difficile immaginare un governo di grande coalizione che tenga insieme i due partiti. Bertinotti pensa che le cose stiano più o meno così come le ha dette l'ambasciatore.
In cosa sono simili i programmi di Pd e Pdl? Sono simili nel loro nucleo essenziale. E cioè l'accettazione dell'ineluttabilità del primato dell'impresa e del mercato. Pd e Pdl pongono il mercato e l'impresa come fondamento non solo dell'economica ma del modello sociale e di ogni politica possibile. Pilastro della società, della sua cultura, degli stili di vita, delle abitudini, delle relazioni personali. Su questo i due partiti sono identici, e persino si stupiscono che qualcuno possa essere diverso da loro.
Eppure negli ultimi tempi sono giunte diverse smentite alla tesi del «mercato perfetto». Queste smentite hanno cambiato persino la politica americana. Da noi nessuno le ascolta? Le smentite sono chiarissime e colossali. La storia degli ultimi anni ha dimostrato inequivocabilmente che la tesi secondo la quale la globalizzazione è la chiave del futuro - produce ricchezza e permette la distribuzione - è una tesi del tutto infondata. Gli apologeti della globalizzazione, quelli di destra e quelli di centrosinistra, sostenevano la stessa tesi: la globalizzazione è il terreno dello sviluppo, del progresso, dell'aumento infinito della ricchezza, ed è essa stessa il luogo della distribuzione. La destra pensava che questa distribuzione dovesse soprattutto essere a favore dei ceti più forti, dei possidenti, perché questi ceti sono quelli in grado di reinvestire, e produrre nuova ricchezza, nuovo sviluppo e nuova e più forte globalizzazione. Il centrosinistra pensava invece che almeno una parte delle nuove ricchezze prodotte dovesse servire a lenire, a temperare le diseguaglianze, gli squilibri sociali, in modo da appianare i conflitti, favorire il funzionamento dei sistemi politici e, per questa via, produrre nuova globalizzazione. Tutte queste teorie sono state smentite dai fatti: no, la globalizzazione non è il tempo della pacificazione e della democrazia. La globalizzazione produce crisi. Capisci? E' esattamente così: il principale portato della globalizzazione è la crisi. Crisi per tutti, per la stessa globalizzazione. E crisi vuol dire guerra, crisi vuol dire terrorismo, crisi vuol dire recessione, crisi vuol dire decadenza del capitalismo che da produttivo diventa finanziario. continua a pagg.2 e 3 in pdf www.liberazione.it
"Liberazione", 12/04/2008 |